Se, incontrando una qualsiasi persona per strada esordissi con la parola “Ubuntu”, probabilmente il soggetto in questione mi guarderebbe storto, come si guarda un pazzo che farnetica parole a casaccio. Se la stessa parola la dicessi a uno che s’intende di informatica quasi certamente mi risponderebbe “no grazie, preferisco Mac OS”, perché penserebbe che mi riferisca al sistema operativo. Se invece la dicessi a qualcuno che conosce la lingua Bantu, originaria dei territori sub-sahariani, probabilmente sorriderebbe. Per spiegare meglio che cosa vuol dire Ubuntu voglio raccontarvi una storia che trovai tempo fa su un blog del quale purtroppo ho perso le tracce, ma fortunatamente, e come faccio spesso quando trovo qualcosa che mi colpisce, la salvai:
Un antropologo propose un gioco ad alcuni bambini di una tribù africana.
Mise un cesto di frutta vicino ad un albero e disse ai bambini che chi sarebbe arrivato prima avrebbe vinto tutta la frutta.
Quando gli fu dato il segnale per partire, tutti i bambini si presero per mano e si misero a correre insieme, dopodiché, una volta preso il cesto, si sedettero e si godettero insieme il premio.
Quando fu chiesto ai bambini perché avessero voluto correre insieme, visto che uno solo avrebbe potuto prendersi tutta la frutta, risposero
“UBUNTU, come potrebbe uno essere felice se tutti gli altri sono tristi?”
UBUNTU nella cultura africana sub-sahariana vuol dire:
“Io sono perché noi siamo”
Ubuntu è una filosofia, un’etica, un modo di comportarsi, in pratica è un’idea, una regola di vita basata sulla compassione e sul rispetto dell’altro. L’Ubuntu è stato anche annoverato tra i principi fondamentali fondanti la nuova repubblica del sud-Africa, infatti anche il mito Nelson Mandela e altri premi Nobel ne traevano ispirazione per le azioni contro l’Apartheid. Forse, visti i tempi, sarebbe il caso di ricordarci di quell’uomo e delle idee che lo hanno spinto a essere chi era e a fare ciò che ha fatto.