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L’ultimo arrivato

Salve a tutti avide menti del domani… o dell’oggi… sicuramente non del ieri… o forse si… insomma il periodo che sto vivendo ultimamente è non poco fastidioso, eh si, perchè mentre tutti, chi più chi meno, durante l’estate, si godono le meritate vacanze a me mi (lo so che non si dice “a me mi”, però mi piace taaanto e lo scrivo ugualmente… tiè…) tocca di lavorare e non poco. Essendo l’ultimo arrivato sono obbligato a tappare i buchi degli altri. Mi sa che mi è uscita un po’ male, potreste equivocare, vado a spiegarmi meglio. Essendo l’ultimo arrivato sono costretto a prendere il posto di coloro che si son presi le ferie e quindi lavorare letteralmente al posto loro. Meglio così? Direi di si dai. Adesso ho capito esattamente perchè il mio capo mesi fa ha voluto insegnarmi tutte le mansioni da svolgere in azienda, quindi se manca uno in magazzino et voilà, ci vado io, manca uno in ufficio, ri et voilà ci vado io, manca uno alle consegne, indovina indovinello chi ci andrà mai? Si… io… sempre io… porcaj*gk+ut°c£lk#df] !!! Ciò fa si che quando gli altri prendono le ferie io non possa mai farlo e essendo l’ultimo arrivato anche la scelta delle stesse deve essere fatta per ultimo… eh vabbè… ormai quest’anno è andata così… ma settembre arriverà, e sul calendario nessuno ha segnato niente… è il mio momento! Devo agire rapido e furtivo come un ninja! Prendere l’arma suprema, il pennarello indelebile nero e segnare i giorni col mio nome, e a quel punto nessuno potrà fare obiezioni! A parte che qualcuno si ammali… o debba per un qualsiasi motivo assentarsi da lavoro… Che grama vita quella dell’ultimo arrivato…

Ristoratori e albergatori vittime? Dipende…

Nell’ultimo periodo ho notato che sono spuntati diversi articoli sui giornali on-line nei quali ristoratori e albergatori lamentano di trovarsi a corto di personale per la stagione estiva. Si imputa spesso tutto ciò al fatto che tra reddito di cittadinanza, bonus o altre forme di sostegno, i giovani preferiscono stare a casa. Su un altro articolo si scrive addirittura che la colpa sarebbe del “benessere diffuso, scarsa voglia di fatica…”. Ora, dato che per anni ho avuto il piacere (piacere?) di lavorare nel settore della ristorazione ci terrei a dire la mia. Non c’è dubbio che la pandemia abbia dato una bella batosta a tutta la filiera dell’accoglienza, e per non farci mancare niente sono arrivate anche regolamentazioni al limite del ridicolo che hanno messo davvero i bastoni tra le ruote un po’ a tutto il settore, però come tutte le cose, quindi anche in questa, bisogna cercare di dare uno sguardo d’insieme prima di trarre conclusioni che potrebbero essere a dir poco affrettate. Scavando nella memoria ricordo le prime esperienze lavorative in questo settore, maggio, un grande Hotel sul mare, roba da quattro stelle, dopo una prova di quindici giorni entro con un contratto a tempo determinato (per la stagione estiva), paga giusta e orario normale, mi dico “vuoi vedere che ho trovato il posto giusto alla prima?”. Con l’incalzare di giugno e l’aumento della clientela il lavoro si fa più tosto ma essendo passato da un esperienza (la prima in assoluto) all’estero in un Hotel immenso con il banqueting più grande della nazione, non mi spavento e aumento il ritmo senza troppi problemi. Nel frattempo i primi caduti, un pasticcere trattato dall’Executive Chef a pesci in faccia decide che è il momento di mandare tutti a quel paese e si licenzia in tronco, l’Executive prende il suo posto e contemporaneamente svolge due mansioni, nel giro di poco tempo si esaurisce e inizia a trattare male tutti, indistintamente. Il clima è da reparto psichiatrico, urla, parole indicibili e scontri verbali sono all’ordine del giorno, si rischia costantemente lo scontro fisico, nel frattempo la clientela è più che raddoppiata l’orario di lavoro passa dalle 9/10 ore alle 17/18 ore giornaliere, a ritmi frenetici senza pause, la paga non cambia. Dopo circa un mese mi reco dal responsabile del personale e dico che può bastare così, mi dice che andandomene via così senza preavviso perderò circa € 500,00… rispondo che non m’importa e che comunque voglio che mi siano pagate le ore che in quei mesi avevo lavorato in più, mi risponde ridendo che non se ne parla, rispondo che farò richiesta per scritto, risponde ancora ridendo di fare ciò che voglio. L’indomani mi reco ai Sindacati che aprono subito la pratica di vertenza e nel giro di un mese mi hanno pagato tutti gli straordinari. A questo punto ho sorriso io. Mesi dopo vengo a sapere di un posto vacante in un agriturismo sulle colline, così mi presento al colloquio e visti i precedenti metto in chiaro il discorso soldi e orario, il proprietario accetta e giorni dopo inizio a lavorare. Dopo circa un mese inizio a chiedermi quando firmerò uno straccio di contratto, lui diceva continuamente che lo stava preparando, e soprattutto quando avrà intenzione di pagarmi, così vado da lui e mi dice che il contratto è quasi pronto e mi offre in contanti la metà esatta di ciò che avevamo pattuito a voce, rispondo che quei soldi non si avvicinano neanche alla cifra che avevamo deciso, mi dice che non si sogna minimamente di darmi di più, rispondo che non mi sogno minimamente di rimettere piede lì dentro. Dopo queste due testimonianze potrei elencarne altre ma il succo è questo, i diritti dei dipendenti in questo settore non esistono, il modus operandi in Italia è ormai diventato questo, si cercano schiavi, che devono essere sfruttati al massimo, pagati il meno possibile e se possibile in nero, e prendendo in considerazione anche il lato umano dirò che in tutti i posti in cui ho lavorato c’erano continue vessazioni di ogni genere. Quindi prima di dare la colpa ai giovani, ai bonus e sostegni di vario genere, insomma a sparare certe, mi si passi il termine “MINCHIATE”, magari un esamino di coscienza sarebbe gradito. Ovviamente, per chi se lo stesse chiedendo, non opero più in quel settore, ho dovuto mettere da parte la mia passione e fortunatamente ad oggi faccio altro.

Riunione

Ogni settimana, a lavoro, facciamo una riunione che i capi amano chiamare “Briefing” per discutere di come abbiamo lavorato durante la settimana e correggere eventuali errori. Ora, lasciamo perdere il fatto che il vero e proprio Briefing si fa “prima” che inizi la settimana lavorativa, ma il significato di questa parola probabilmente sfugge a molte persone là dentro, il punto è che quando facciamo queste specie di riunioni il Capo parla per quarti d’ora del nulla cosmico… dell’antimateria… del vuoto pneumatico… E’ assolutamente insopportabile. Parte come qualsiasi banalissimo oratore da azienda con “Bene, benvenuti a questo briefing, oggi parleremo di come è andata la settimana e di cosa possiamo fare per migliorarci…” e poi si perde aprendo quattordicimila parentesi e non chiudendone nessuna, tanto che spesso perde il filo chiedendo a noi “dov’ero rimasto?” e l’unica risposta idonea sarebbe “eri rimasto al gran cxxxo che ce ne frega…”, bè, caro Capoccia, intanto potresti cercare di farla breve visto che questa maledettissima riunione viene fatta a fine turno e l’unica cosa che ci preme è andarcene via, poi cerca di essere un minimo sintetico perché le tue parole hanno l’effetto di un sonnifero somministrato in dosi da cavallo, e in fine fai un corsettino d’inglese e smetti di chiamarlo Briefing che proprio non lo è…

 

Mondo fantastico o posto di lavoro

Ogni giorno mi sveglio, e so che dovrò correre più del leone… mmm… no, quella è un’altra storia. Ogni giorno mi sveglio e dopo il rito della colazione e del bagno, mi dirigo a bordo della mia utilitaria verso il posto di lavoro. Una volta varcata la soglia, come in un vecchio classico della Disney, vengo catapultato in un mondo fantastico popolato da varie creature, alcune benevole, altre maligne, che sgambettano indaffarate tutte per lo stesso motivo, raggiungere il massimo risultato con il minimo impiego di mezzi. La creatura più temuta è il “Gran Capo”, sempre serio e austero si aggira per il mondo incantato senza che in effetti nessuno sappia cosa faccia in concreto, ma lui è il Gran Capo e sa di esserlo, quindi cerca di raggelare con lo sguardo chiunque pensi, anche solo per un secondo, di mettere in discussione il suo ruolo. Poi c’è il “Gran Capo due”, completamente diverso dal primo il Gran Capo due è alla vista un pacioccone, un personaggio cicciottello con la battuta pronta che nel quotidiano riesce a trovare sempre il modo di farti fare una risata, ma anche lui ha un lato oscuro, quando sale la tempesta si trasforma in un Gargoyle che sputa fiamme e terrorizza i passanti. Nella scala gerarchica subito dopo il Gran Capo due ci siamo noi gli “Alfieri”, noi siamo quelli che svolgono in concreto tutto il lavoro, divisi per mansione portiamo avanti la baracca. Noi Alfieri siamo cinque, tutti quasi coetanei, tutti vestiti uguali, ma così diversi l’uno dall’altro a partire dalla provenienza, ognuno di noi viene da una diversa regione d’Italia, quindi puoi sentire benissimo uno chiedere una cosa in Sardo e sentire l’altro che risponde in Genovese stretto, e questa è una cosa che mi piace moltissimo, e ci fa fare anche tante risate. Tra i compiti degli Alfieri c’è anche quello di insegnare a un’altra figura di questo mondo fantastico gli “Stagisti”. Gli Stagisti sono in genere giovani, incapaci, inesperti, e puzzano di post adolescenza che quasi non gli si sta accanto. A differenza di come hanno insegnato a me, io preferisco trattarli con umanità, senza caricarli troppo di lavori pesanti o noiosi e spiegandogli in dettaglio il perché una cosa va fatta in un certo modo, senza grida, senza ordini, e magari cercare di far fuoriuscire un po’ di passione per ciò che si vorrà fare in futuro. Credo fermamente che si possa imparare di più e meglio sentendosi ispirati che vessati. Intorno a questa nuvola di persone gravitano altri personaggi di altri reparti, ad esempio ci sono i “Camminatori”. Questa particolare specie di personaggi è addetta a spostare le cose, loro non creano, semplicemente spostano oggetti, ed è impossibile parlare con loro stando uno davanti all’altro perché, proprio per la loro mansione, non stanno mai fermi, quindi devi rivolgergli domande brevi e concise sperando che la loro risposta si esaurisca prima che oltrepassino una porta, altrimenti rimarrai col dubbio fino a che non sbucheranno da un’altra porta. Altra categoria di personaggi sono gli “Aggiustatori” che sono quelle persone che dovrebbero riparare le cose ma che spesso non solo non ci riescono, ma anzi, talvolta riescono ad aggravare ulteriormente la situazione, e quindi spesso vengono presi in giro da noi Alfieri che poi siamo anche i responsabili delle rotture che loro devono aggiustare. Ogni giorno entro in questo mondo fantastico fatto di strani personaggi che mi gravitano attorno, ognuno col suo carattere e le sue peculiarità, magari in futuro farò un post sui più curiosi…

 

Ai miei tempi

Mi capita a volte di parlare con persone più grandi di me (che più vecchie è brutto da scrivere…) e quello che spesso mi sento dire è che ai loro tempi vigeva la regola della serietà, dell’onestà, della persona per bene insomma. A loro dire oggi, invece, viviamo in un mondo di giovani truffatori o come di solito vengono chiamati “furbi” che fanno di tutto pur di raggirare il prossimo per il proprio tornaconto. Per certi versi sono anche d’accordo con queste affermazioni, la svalutazione di certi valori è ormai tristemente una realtà assodata, inutile negarlo. E’ però vero anche che, a mio modesto avviso, non tutti i giovani sono dei furbetti e che non tutti gli anzianotti sono delle persone per bene, e lo posso provare perché quello raggirato da questi simpatici vecchietti (agli stronzi si può dire, non è brutto da scrivere…) sono proprio io. Il primo di cui narrerò le gesta lo incontrai quando ancora facevo un lavoro d’ufficio, venne cercando un servizio e promettendo un pagamento a breve termine, prima di congedarsi mi fissò, si avvicinò e mi disse “guardami negli occhi…” e io subito pensai “ora che fa? Prova a ipnotizzarmi?” e invece “perché io quando dico una cosa è quella!”, e sparandomi la frase iniziale penso volesse alludere al fatto che gli occhi vengono anche detti lo specchio dell’anima e quindi presupponeva fossero la prova schiacciante della sua buona fede. Inutile dire che quei soldi non li ho mai visti… Altro vecchietto supersimpa l’ho incontrato recentemente, lui è stato addirittura più scaltro, mi ha commissionato un lavoro, io ho presentato la mia parcella anticipatamente e lui ha accettato. Dopo circa un mese e mezzo, non vedendo una lira… ehm pardon, un euro, sono andato a chiedere spiegazioni e lui, anche un po’ incazzato (chissà perché poi, probabilmente cercava di anticipare l’avversario… mha…) mi dice “io tutti quei soldi non te li do”, ed è inutile dirgli che aveva accettato in precedenza e quindi sta violando l’accordo, i tipi così negano sempre l’evidenza, e non tornano sui propri passi se non tramite avvocati. Ovviamente, ho preso quei pochi spicci e me ne sono andato. Insomma, in conclusione direi che l’onestà e la serietà sono virtù che si fanno sempre più rare, e non è il caso di incolpare i giovani di questo, se si vuole trovare il colpevole, ancora una volta, come diceva il grande V, non c’è che da guardarsi allo specchio.

 

News dall’oltralpe

Mi sono tolto un peso non da poco. Il mattone che avevo sul petto in questi giorni finalmente se n’è andato per far spazio a un po’ di serenità. Per quelli che seguono questo blog si, la notizia è quella che pensate, le analisi del mio amico sono negative, evvaiii! Anche se prima di stappare lo spumante sarebbe meglio sapere cos’è che provoca quei sintomi, ma la notizia che non si tratta di cancro ha comunque alleggerito non poco le mie e le giornate di Garry. Nel nuovo posto di lavoro mi ci trovo benissimo, gente cordiale e ritmi non troppo frenetici, se le cose continuano ad andare così potrei quasi asserire di aver trovato la mia dimensione. Però, ora che ci ripenso, prima di cantare vittoria è il caso di far passare ancora un po’ di tempo, sono italiano e so benissimo che basta che ti cada la saponetta che qualcuno si precipita e arriva da dietro con cattive intenzioni… quindi forse è meglio continuare a muoversi spalle al muro, così, tanto per essere sicuri di non avere brutte sorprese…

 

Change!

Clima ballerino in quel dell’oltralpe, giorni di sole e caldo intervallati a giorni più freddi di pioggia e vento e spesso anche nel corso di una sola giornata il tempo può variare di molto, vestirsi a strati e ombrello sempre pronto sono, per me, ormai diventati un must. E così com’è cambiato il tempo anche il Corvo ha fatto i suoi cambiamenti, perché ho cambiato lavoro! Ebbene si, ho ricevuto un’offerta che non potevo davvero rifiutare, ne guadagno in soldi e in salute mentale, dove lavoravo prima c’erano alcune persone delle quali avrei fatto volentieri a meno, e senza contare il fatto che adesso ho un ruolo più importante. E qui caro lettore ti chiederai “e dove sta la pecca?”, e dammi tempo di arrivarci no? Proprio così, il tempo per arrivarci è la pecca. Ho calcolato che se i mezzi s’incastrano alla perfezione da quando varco la porta di casa a quando arrivo a lavoro ci metto cinquanta minuti, se perdo una metro o un treno siamo sull’oretta. Tutto ciò significa che perdo quasi due ore di viaggio al giorno, e ciò succederà per altri due mesi, fino a che deciderò o di traslocare o di comprarmi quello che io definisco “scassone” ovvero una macchina usata a poco prezzo che mi consenta di muovermi su quattro ruote, ma che alla quale non puoi chiedere di più… Non le puoi chiedere di essere alla moda, non le puoi chiedere di essere nuova, non le puoi chiedere che tutto funzioni correttamente, non le puoi chiedere un impianto musicale decente, insomma una di quelle classiche macchine che fanno schifo e che poi finisci per affezionartene, quelle che poi gli dai anche il nome… tipo “la vecchia Betsy”

 

Un momento…

E’ bastato scriverlo sul blog che ho trovato un lavoro… Un momento…

omerunmomento
Ma allora vuol dire che tutto ciò che scrivo sul blog si avvera? Mitico!

nyagtp
Ho pronta pronta una lista. Va bè dai so tre cazzate… sono uno che non chiede poi molto io…

Vorrei che l’egoismo che regna sovrano su questo misero pianetucolo fosse in diminuzione e non palesemente in aumento.

Vorrei scendere negli abissi e vedere le strane creature che li abitano.

Vorrei rivivere il primo giorno di scuola.

Vorrei illudermi di sapere la verità.

Vorrei una bottiglia d’acqua ghiacciata.

Vorrei che la giustizia facesse il suo dovere.

Vorrei un super potere.

Vorrei saper fischiare con le dita in bocca.

Vorrei che alcune donne capissero che anche gli uomini hanno momenti di debolezza, e che non per questo sono meno uomini.

Vorrei essere più positivo.

Vorrei che le persone che a prima vista sembrano interessanti non aprissero bocca facendomi immediatamente ricredere.

Vorrei rigiocare a nascondino con la felicità che mi ricordo di aver provato quando ero un bambino.

Vorrei entrare nella testa del prossimo per vedere cosa c’è.

Vorrei essere sereno per la maggior parte del tempo.

Vorrei che la razza umana avesse un pizzico di empatia in più.

Vorrei che il gelato non facesse ingrassare.

Vorrei che un paio di persone che mi stanno sulle scatole cambiassero pianeta, ma andrebbe bene anche se si limitassero a cambiare emisfero.

Vorrei guardare i miei nipoti e essere un pò più sicuro del futuro che li attende, invece di essere preoccupato…

Vorrei trovare un corvo bianco.

Vorrei un massaggio alla schiena, di almeno tre ore.

Vorrei poter parlare ancora una volta con mio nonno.

Vorrei che molta gente spegnesse la televisione… per sempre.

e poi vorrei poter lasciare andare un bel po di cose che ancora rimangono aggrappate da qualche parte dentro di me…

Si avvereranno? Staremo a vedere ma una vocina mi sussurra di no… chissà perchè…

Vendersi

Fuori il vento freddo fischia tra le case, le nuvole in cielo si rincorrono veloci e io tazzona di tè caldo in mano me ne sto alla finestra a contemplare immerso nei pensieri. Pensavo che non riesco a vendermi. Mi spiego meglio. Tutti, chi più chi meno, dobbiamo riuscire a dare un’idea di credibilità o sicurezza o capacità e chi più ne ha più ne metta, a seconda dell’obbiettivo che vogliamo raggiungere. Tipo, se voglio cercare di suscitare interesse in un individuo di genere femminile dovrò cercare di risultare sicuro, affascinante, misterioso ecc… Se invece volessi cercare di vendere un qualsiasi bene o servizio dovrei quantomeno dare l’idea di una persona di cui ci si può fidare… Ecco, tutte questo per me è estremamente difficoltoso. Non riesco a recitare la parte. Non riesco a vendermi. Probabilmente sono solo un pessimo attore. Il problema però è che in questo momento della mia vita avrei un gran bisogno di riuscire a convincere il prossimo. Eh si, perché faccio parte di quell’esercito di italiani che hanno lasciato il bel paese per cercare fortuna altrove, e nell’altrove, soprattutto i primi tempi, in cerca di un’occupazione, sono costretti a fare innumerevoli colloqui e prove di lavoro. Quindi si, mi ci vorrebbe di essere splendido… insomma di risultare splendido… di fare lo splendido… che tristezza, non ci riuscirò mai…

 

La commessa perfetta

Sta arrivando. Ancora una volta sono chiamato a presenziare a una cerimonia. Del resto in questi ultimi due o tre anni ho presenziato a millemila matrimoni, quindi dovrò fare l’enorme sforzo di andare anche a questo. Avendo usato lo stesso vestito per svariati dei suddetti ho deciso di andare a comprare qualcosa di nuovo, ovviamente con la piena consapevolezza che nel negozio avrei trovato la solita commessa tutta in tiro e col sorrisone che come mission ha “ora faccio finta di flirtare con te e ti faccio comprare anche lo scopino del cesso”. Le conosciamo benissimo, abbronzate di dicembre, messa in piega, rossettone stile bordello, e abiti provocanti. Qualunque cosa ti provi stai decisamente bene, anche se esci dal camerino con un poncho messicano e un paio di salomon a cinque ganci… Quindi mi avvio verso il negozio pensando che dovrò assistere alla prova d’attrice della commessa. Entro e vicino alla cassa scorgo una ragazza rotondetta, capello corto, in jeans e maglietta che cerca di barcamenarsi in un mucchio di scontrini e fatture. Mi avvicino e le chiedo se può aiutarmi nella ricerca di un vestito, lei molla il mucchio cartaceo e dopo avermi fatto qualche domanda su ciò che intendevo acquistare mi porge un vestito e mi invita a provarlo. Esco dal camerino e incredibilmente è perfetto, la taglia è giusta e anche il colore non mi dispiace. Lei dal mucchio di carte mi guarda, poi si avvicina, mi sistema il colletto ma ha un’aria perplessa. Esordisce con “no, la camicia non va bene” grattandosi il mento guarda le camicie esposte e me ne porge una “prova questa!”, obbedisco. Esco nuovamente dal camerino e aveva proprio ragione, il colore è decisamente più azzeccato. Dopo tutto ciò mi dice una cosa che mi ha colpito molto “ok, credo che ci siamo, mancano solo le scarpe ma ti consiglio di non comprarle qui, fanno decisamente schifo, puoi sicuramente trovarne di meglio e a minor prezzo in altri negozi”. Ancora incredulo per le parole appena dette pago sorrido e la saluto. Riassumendo, è stata professionale e gentile, ha azzeccato la mia taglia alla prima senza che le dessi il minimo indizio, ha avuto grande gusto negli abbinamenti, mi ha fatto spendere il giusto e perdere non più di venti minuti per tutto ciò, ma soprattutto ho apprezzato davvero tanto la sua sincerità sull’argomento scarpe. Conclusione, evviva le commesse semplici, che sono li davvero per aiutarti e non solo per venderti qualcosa, nell’era del marketing trovare persone così fa davvero piacere.