Mese: gennaio 2018

Un po’di chiarezza sulle E-cig

Proprio ieri è uscita una notizia sulle sigarette elettroniche e sul fatto che secondo alcuni recenti studi provocherebbero danni al DNA, aumenterebbero il rischio di tumore ai polmoni e alla vescica e aumenterebbero inoltre il rischio di patologie cardiovascolari. Vorrei soffermare, tra l’altro, l’attenzione sui titoli che sono usciti sui principali siti d’informazione “Danni al Dna e tumori. Le sigarette elettroniche adesso fanno paura”, oppure “Salute: le sigarette elettroniche dannose per il Dna” ecc… Ora, lungi da me voler sfatare questi studi, ma è innegabile che la sigaretta elettronica abbia aiutato migliaia di persone a smettere con la tradizionale sigaretta di tabacco, e mi ci metto anch’io tra questi. Io, anni fa, ero un fumatore come ce ne sono tanti, di quelli da un pacchetto al giorno, e dopo aver usato la e-cig per circa un anno sono riuscito a smettere completamente liberandomi da quella schiavitù. Posso tranquillamente confermare che funziona, se si riesce a trovare il giusto aroma e la quantità di nicotina ideale per simulare la sigaretta vera (perché la quantità di nicotina crea quella che in gergo viene chiamata la hit, e cioè una particolare sensazione in gola al momento dell’aspirazione) si riesce a passare dal tabacco al vapore e poi successivamente si può smettere. Di questo sono assolutamente sicuro perché non sono l’unico che c’è riuscito, ho diversi amici che con lo stesso metodo ce l’hanno fatta. Tra l’altro ci sono studiosi tipo il Prof. Fabio Beatrice, professore all’Università di Torino e direttore della S.C. di Otorinolaringoiatria e del Centro Antifumo dell’Ospedale S.Giovanni Bosco di Torino, che afferma che nel vapore della e-cig ci sono circa il 95% in meno di sostanze cancerogene, quindi con questo non si vuole dire che le e-cig facciano bene, ma contrapposte alla classica sigaretta di tabacco sono notevolmente meno dannose e ripeto, con un uso controllato e ragionato possono aiutare a smettere o diminuire le tradizionali sigarette. Altro argomento trattato da questi ultimi studi è “l’effetto gateway”, in italiano “teoria del passaggio” e cioè che l’utilizzo dell’e-cig da parte dei giovani possa aumentare il rischio di transizione verso il fumo di sigarette convenzionali, anche in questo caso non sono d’accordo, perché questa teoria (mai provata scientificamente) veniva usata in America intorno agli anni ’50 dalla Federal Bureau of Narcotics per una campagna pubblicitaria a favore della promulgazione del proibizionismo della cannabis, poi, più di vent’anni dopo, la Casa Bianca, nella figura della Commissione Shafer, ammise che “quei racconti erano ampiamente falsi”, e poi non serve uno scienziato per capire che non è vero che avendo la bocca e bevendo acqua poi passerò necessariamente al vino, oppure che avendo un pene dal fare l’amore passerò necessariamente allo stupro. Quindi, in definitiva, sogno che l’Italia, come altri paesi, incentivi l’uso della e-cig per i fumatori di sigarette convenzionali aiutandoli a diminuire o addirittura a smettere, invece di aumentarne continuamente le tasse per il solo scopo d’incassare, e mi piacerebbe anche che nel contempo informi i giovani sui rischi e sugli studi effettuati, ma senza demonizzare uno strumento che per alcuni è davvero un salva vita.

Il racconto di Surak

C’era una volta in una galassia lontana lontana un alieno di nome Surak. Surak era un giovane scienziato addetto alla ricerca e allo studio di nuove specie intelligenti, vagava insieme alla sua equipe attraverso l’universo alla ricerca di strani, nuovi mondi, per giungere là dove nessun altro è mai giunto prima… ops no quella era una serie TV anni ‘80… insomma Surak più precisamente era addetto alla classificazione delle nuove specie, che poi, dopo il vaglio di un superiore, venivano catalogate e archiviate nell’enciclopedia galattica, praticamente la raccolta d’informazioni più scientificamente avanzata dell’intero universo. Come di consueto Surak era rientrato da una missione e si accingeva a fare rapporto al proprio superiore. La missione di ricerca, era stata effettuata nel settore 42CB213, una parte dell’universo caratterizzata dalla presenza di una galassia a spirale barrata e più precisamente a circa metà tra il centro e il margine della galassia stessa. Grazie ai potenti sensori della nave stellare che ospitava l’equipe di scienziati alieni, Surak riuscì in breve tempo a rilevare dalla superficie di un pianeta all’interno di un sistema stellare, la presenza di una moltitudine di forme di vita differenti, così concentrò l’attenzione su quel piccolo pianeta e per mesi studiò la forma di vita più intelligente presente su quel corpo celeste.
Come prima accennato Surak, di rientro dalla missione, avrebbe dovuto presentare il risultato della sua ricerca al proprio superiore ma era ansioso, gli tremavano le zampe, anche le squame avevano assunto una posizione strana sul suo dorso, era la paura che si manifestava fisicamente sul suo corpo. Non era sicuro di aver fatto un buon lavoro, ma non perché non si fosse impegnato abbastanza, semplicemente non era riuscito a capire e a inquadrare bene quella strana specie di esseri che aveva incontrato, a adesso aveva timore di non riuscire a presentare il suo lavoro con la certezza e la professionalità che lo contraddistinguevano.
Una volta apertasi la porta della stanza, Surak entrò fingendo sicurezza e salutò Neral, il suo diretto superiore. Neral era molto più vecchio di Surak, lo si poteva notare dalle dimensioni molto più grandi delle corna e dal colore più chiaro delle squame, era inoltre uno scienziato di grande fama e teneva in ampia considerazione il suo pupillo che stava accingendosi a presentare il consueto rapporto. Neral si accorse subito che qualcosa turbava Surak, e così gli disse:

“Che c’è Surak, non avrai mica visto un Gorn?” e accennò un sorriso.
Surak ricambiò il sorriso e balbettando disse:

“No Maestro, ho avuto… mmm… diciamo… qualche problemino nella classificazione della specie che abbiamo trovato su un pianeta nel settore 42CB213…”

“Qualche problemino? E che significa Surak? Non è difficile, lo dovresti sapere, o sono specie intelligenti o no, dov’è il problema?”

“E’ proprio questo il problema signore, hanno una tecnologia che li porrebbe a un livello d’intelligenza, ma nei costumi e nella cultura sono arretrati… mmm… preistorici direi…”

“Ma come è possibile Surak!? Abbiamo scandagliato miliardi di pianeti per migliaia di anni e abbiamo potuto constatare che l’avanzamento tecnologico è direttamente proporzionale all’intelligenza e al progresso culturale di ogni specie, ti starai sicuramente sbagliando!”

“Ho creduto di sbagliarmi signore, ma vede… mmm… ho ricontrollato decine di volte e il risultato è sempre il medesimo…”

“Cavolo, speravo di far presto oggi, avevo un incontro con un vecchio amico Xindi, ha fatto quindici miliardi di anni luce per incontrarmi… sarà contrariato… ma pazienza, illustrami.”

Surak deglutì e dopo qualche momento di esitazione accese il congegno olografico e fece partire le immagini.

“Vede Maestro, la specie ha già sviluppato una rudimentale tecnologia che però gli permette di lasciare il proprio pianeta e recarsi su altri corpi celesti vicini e facenti parte dello stesso sistema”

Neral si girò di scatto e guardando Surak negli occhi lo interrogò:

“Allora mi prendi in giro Surak! Questo è un segno evidente dell’intelligenza di questa specie, cosa c’è di strano?”

“Aspetti signore, mi lasci spiegare”

Surak riprese a illustrare il suo lavoro:

“Il pianeta ha tutte le caratteristiche per sviluppare la vita basata su una molecola che combina idrogeno e ossigeno, ma la specie dominante sembra non voler salvaguardare il proprio ecositema”

“Ma come è possibile?” sussurrò Neral avvicinandosi all’ologramma che raffigurava una centrale nucleare lesionata che stava sversando ettolitri di rifiuti radioattivi.

“E c’è dell’altro signore, sul pianeta sono in corso circa cinquanta conflitti… mmm… guerre insomma…”

“Cosa mi stai dicendo Surak, che specie diverse stanno lottando per l’egemonia sul pianeta?”

“No Maestro, la specie è una sola, si riuniscono in gruppi, no no, non è il termine giusto… mmm… come si dice… ah si, popoli, si riuniscono in popoli e poi si fanno la guerra tra loro”

“Non ci posso credere… si sterminano tra elementi della stessa specie e distruggono il proprio ecosistema a danno anche di altre forme di vita, ma allo stesso tempo hanno la tecnologia per salvarsi e non lo fanno…”

“Si signore, e c’è di più!”

A questo punto Surak capì di aver suscitato interesse in Neral e di non aver commesso errori, quindi partì a spiegare con la parlantina sicura e professionale che lo contraddistingueva. Illustrò al proprio superiore un innumerevole quantità di comportamenti illogici che quella strana specie adottava e che non risultavano in nessun altra specie che si potesse etichettare come intelligente. Dopo diverso tempo Neral lo fermò:

“Basta Surak… ho capito…”

Neral abbassò lo sguardo sconfitto e disse:

“Hai fatto un buon lavoro come sempre, ma il risultato è purtroppo disastroso… Non avrei mai voluto spiegarti e usare il protocollo UR235 ma non abbiamo alternative…”

Il Maestro pose la zampa sul dorso dell’allievo e disse:

“Questo protocollo è usato molto raramente e solamente in casi estremi, cioè ogniqualvolta si trovano specie destinate alla propria violenta estinzione e che porterebbero allo stesso destino altre forme di vita con cui condividono il loro pianeta… si tratta di sterminio Surak… dobbiamo sterminarli…”

Surak s’intristì, non aveva mai sentito parlare di quel protocollo, e nella sua coscienza di alieno non poteva credere alle parole del suo mentore, così, guardandolo interrogativamente aspettò le sue parole che non tardarono ad arrivare:

“Hai scelto un nome per la specie Surak? Devo inviare la richiesta alla nave che li sterminerà e devo scrivere un resoconto sull’enciclopedia galattica…”

“Non saprei signore… loro si fanno chiamare Umani…”

Madre! Ma anche no…

Chi segue questo blog sa che a volte mi piace consigliare la visione di qualche film o documentario che mi è particolarmente piaciuto, oggi invece voglio fare il contrario, e cioè sconsigliare la visione di una pellicola che mi ha davvero sconcertato in senso negativo. Il film di cui parlerò è “Madre!” (potrei spoilerare parte della trama quindi chi volesse visionarlo non legga oltre, ma sinceramente, vogliatevi bene e non guardatelo). La storia è molto semplice, è la vita di una coppia, lei casalinga incinta, lui scrittore in piena crisi d’ispirazione. Partiamo col dire che il film è delirante nel vero senso della parola, i dialoghi sono scritti con i piedi, se uno chiede “come stai?” l’altro potrebbe rispondere tranquillamente “si, la marmellata è di ciliegie”, gli attori hanno reazioni contorte e non credibili, succedono cose che vanno oltre il surreale, basti pensare che a un certo punto all’interno della casa scoppiano manifestazioni di sette sataniche e addirittura una guerra con tanto di militari in divisa e scoppi di bombe di vario genere, la casa viene letteralmente presa d’assalto da centinaia di persone che escono fuori dal nulla. Tutta questa accozzaglia di vicissitudini è messa in atto per radere al suolo la casa di modo che nella scena finale, assolutamente telefonata, si possa capire che ci troviamo di fronte all’ennesima storia in loop fondata sul mito dell’Uroboro, e cioè sulla natura ciclica delle cose. Ora, non è che il mito dell’Uroboro sia brutto ma mi sembra che già sia stato usato abbastanza nel cinema, ricordo ad esempio un grandissimo “L’esercito delle dodici scimmie” (con un Brad Pitt nella parte del terrorista psicopatico da Oscar), oppure anche la famosa web serie Freaks, insomma roba fritta e rifritta. Bisogna dire anche che lo sceneggiatore e in questo caso anche regista Darren Aronofsky aveva già dato prova di essere uno avvezzo al delirio con un altro film a mio avviso senza senso e inguardabile, e cioè “The Fountain – L’albero della vita”. Sinceramente pensavo che dopo una roba del genere si sarebbe fermato, invece ho scoperto che è anche produttore quindi potrebbe continuare all’infinito, pertanto la palla passa a noi spettatori che dobbiamo fermarlo e fargli capire che dovrebbe esimersi dal creare tali oscenità.

Sequenza interminabile di perchè

Nel post di oggi vorrei parlare di un problema con il quale tutti gli adulti si trovano a fare i conti quando devono interagire con un bambino. I bambini, sia maschi che femmine, a un certo punto della loro crescita attraversano la famosa fase del perché, da essere creaturine senza l’uso della parola diventeranno improvvisamente creaturine logorroiche, che pretenderanno risposte esaurienti alle innumerevoli domande sul perché di tutto ciò che gli capita intorno. Ora, come si deve comportare un adulto in tale circostanza? Se dessimo retta al famoso pedagogo Savino Pezza, le cui doti ci vengono narrate dal grande Natalino Balasso, dovremmo usare appunto la tecnica Pezziana che ci insegna che alla terza richiesta del perché l’adulto deve colpire con estrema violenza il punto P, all’altezza del cervelletto, di modo che il bambino, dopo essersi risvegliato giorni dopo, le prossime volte che si troverà a chiedere una sequenza interminabile di perché, inspiegabilmente alla terza si bloccherà… Ora, a parte gli scherzi, come ci si deve comportare davvero in una situazione del genere? Io ho osservato i miei nipoti e potrei dire con certezza che non chiedono il perché per sapere effettivamente qualcosa, lo chiedono perché hanno imparato questa parola e la mandano semplicemente in loop, questo è confermato dal fatto che mentre stai rispondendo alla loro richiesta spesso si mettono a fare altro non cagandoti minimamente di striscio, salvo il fatto che appena avrai finito di parlare semplicemente ti chiederanno di nuovo perchè. Il fatto, quindi, di cercare risposte esaurienti e esatte è praticamente tempo perso, quindi, dopo attenta analisi del fenomeno posso dire di aver trovato la risposta giusta, con la quale riesco ogni volta a interrompere il loop malefico. Al terzo perché domando “perché mi chiedi continuamente perché?”, a questa domanda l’infante si blocca, è spiazzato dal fatto che ha ricevuto come risposta una domanda, in più il fatto che non ascoltasse minimamente ciò che gli stavi dicendo lo manda ancor di più in confusione e rimane come imbalsamato a guardarti. Tu non devi far altro che spostare la sua attenzione su un balocco qualsiasi, e la magia è fatta, i perché sono svaniti e adesso c’è solo un nuovo gioco.

Via Crucis bancaria

Come accennato in uno degli ultimi post, in questi giorni sto cercando di aprire un conto on line. La scelta di farlo in rete e non di persona recandomi alla banca è nata dall’idea, col senno di poi completamente sbagliata, che sarebbe stato più comodo fare tutto dal pc di casa, pensavo anche che la burocrazia sarebbe stata più snella, oltre al fatto che dai portali dedicati sembrerebbe la scelta più conveniente. Quindi una volta deciso ho iniziato la trafila per la registrazione, per prima cosa ho dovuto compilare un questionario a dir poco estenuante per lunghezza e per specificità, un’ infinita sequela di domande a partire dalle generalità passando per le intenzioni per il futuro per finire all’albero genealogico dell’animale domestico d’infanzia, sarò stato a spippolare più di mezz’ora, inizio a innervosirmi. La Via Crucis purtroppo non era ancora finita, infatti, dal questionario passo alla consegna dei documenti d’identità. Vogliono un documento d’identità, il codice fiscale, e un documento che provi la mia effettiva residenza. Quindi mi metto a scannerizzare il tutto per poi caricarlo on line, altra mezz’oretta… Che poi cosa curiosa è che hanno voluto la scannerizzazione del passaporto fronte retro, che non ha senso, perché il retro del passaporto è uguale per tutti… va bè… contenti loro… Il nervosismo si tramuta in esclamazioni poco lusinghiere a denti stretti… Una volta finita la consegna dei documenti passo all’attivazione del servizio e scopro che si può fare in due modi, o facendo un bonifico da parte di un altro conto intestato alla stessa persona che vuole aprirne un altro o tramite webcam. Opto per la webcam sperando di far veloce e togliermi il dente per non pensarci più, e appena clicco mi esce una schermata dove posso richiedere un appuntamento per la conferenza via web con uno dei loro impiegati, data più vicina tra dieci giorni. In casa mia riecheggiano ingiurie… Aspetto nove giorni e mi avvisano con un sms che un documento non è leggibile, quindi mi consigliano di tornare sul sito e caricarlo di nuovo, lo faccio e indovinate un po’, si, il sistema mi rimanda alla schermata per prenotare un altro appuntamento, data più vicina tra altri dieci giorni… Le pareti di casa mia tremano, e non è un terremoto, sono le onde sonore dei miei oltraggi rivolti al creato… Domani è la data fatidica, quindi, se sei un impiegato di banca addetto alle conferenze web con nuovi potenziali clienti fai molta attenzione e cerca di essere carino e coccoloso, perché ho un giramento di ammennicoli che posso incenerirti con lo sguardo… Potrei saettare come Zeus fulminator…

Sfavataggine

E’ da un paio di giorni che mi porto dietro una sfavataggine (c’è chi la chiama scazzo, fastidio, sconforto, ma dalle mie parte si dice sfavataggine che viene da sfavato cioè una specie di annoiato, depresso e sconfortato…) abbastanza pesante, non credo ci sia un unico motivo per il quale questa sensazione di disagio sia sorta, credo sia un accozzaglia di fattori che tutti insieme riescono a smuovermi quella specie di mezza depressione che fa parte del mio essere e che negli ultimi anni sono riuscito a tenere a bada così bene. I motivi dello sfavamento sono molteplici, si va dal reclamo che ho inoltrato mesi fa alla mia compagnia telefonica che tarda ad essere accettato nonostante abbia spedito (a mie cure e spese ovviamente) tutta la documentazione ben tre volte, passando per un datore di lavoro che mi dice una cosa che io prendo per buona e poi cambia versione ogni settimana, poi ho avuto la brillante idea di aprire un conto on-line e per registrarmi sto passando una trafila di storie assurde che mi porto dietro da dieci giorni almeno, poi il mio meccanico prende tempo e la cosa mi fa innervosire, insomma, un accozzaglia di piccole cose che però, dopo un po’ sfavano, non c’è nulla da fare… E quando sono sfavato divento intrattabile, non perché diventi irritabile anzi, il contrario, rispondo a monosillabi, mi trascino in giro e faccio tutto quello che sono abituato a fare mettendoci il doppio del tempo, mangio poco, parlo meno e tendo a isolarmi… e poi di punto in bianco la voglia irrefrenabile di mandare pacatamente tutti affanculo… Guarirò mai da questa condizione?

Se un bambino ti chiede se Babbo Natale esiste

Le feste sono quasi finite, manca giusto la Befana e poi siamo a posto anche per quest’anno. L’altra sera parlando con uno dei miei nipoti, che ormai frequenta le scuole medie (spero si chiamino ancora così…), vengo a sapere che ha scoperto la non esistenza di Babbo Natale verso i sette/otto anni e che aveva già qualche sospetto avendo visto il padre cercare di sgattaiolare con tantissimi regali da una stanza all’altra della casa sperando di non esser visto. Per quanto mi riguarda invece la mia scoperta della non esistenza di Babbo Natale è stata abbastanza traumatica. Ero un bambino felice e spensierato di circa sei anni e stavo tornando a casa a bordo dello Scuola-bus quando, parlando con un bambino più grande di me, vengo a conoscenza che non sarebbe stato Babbo Natale, a cui avevo da poco scritto la mia bella letterina, a portarmi i doni, ma sarebbero stati i miei genitori. Ammetto che per me, forse per via della tenera età, fu un vero e proprio shock, rimasi impietrito e mi misi seduto da solo, nella mia testolina giravano un sacco di pensieri e proprio mentre uno di loro prendeva il sopravvento si aprirono le porte del bus, la mia fermata. M’incamminai verso casa ancora visibilmente turbato, mi avvicinai al portone e suonai il campanello, mi aprì mia madre che mi chiese cosa fosse successo e io di botto “siete tu e Papà che mi fate i regali a Natale vero?” lei esitò e io di nuovo “vuol dire che Babbo Natale non esiste… siete voi…” lei annuì e io scoppiai a piangere ringraziandola per i doni che avevo e che avrei ricevuto. Così, per cercare di essere preparato se uno dei miei nipoti dovesse mai farmi una domanda del genere, ho pensato di documentarmi su come e cosa si potrebbe e dovrebbe rispondere. Ho trovato le risposte più disparate, da chi vorrebbe negare tutto e cercare di convincere il bambino che si sbaglia e che quindi Babbo Natale esiste, a chi consiglia di psicanalizzare il bambino istantaneamente e cercare di capire quale risposta preferirebbe, a chi consiglia di rispondere “se ci credi allora è vero!” che non è una risposta, insomma, mi pare che ci sia una bella confusione. Quindi io da traumatizzato propongo di dire tutta la verità nient’altro che la verità dica lo giuro… mmm… no quella è un’altra cosa… Comunque essere sinceri pagherà sicuramente e io ho trovato la risposta più veritiera e scientifica proprio nel web, ed è la seguente.

Nessuna specie conosciuta di renna può volare. Ci sono però 300.000 specie di organismi viventi ancora da classificare e, mentre la maggioranza di questi organismi è rappresentata da insetti e germi, questo non esclude completamente l’esistenza di renne volanti, che solo Babbo Natale ha visto.
Ci sono due miliardi di bambini (sotto i 18 anni) al mondo. Dato però che Babbo Natale non tratta con tutte le religioni il carico di lavoro si riduce al 15% del totale, cioè circa 378 milioni. Con una media di 3,5 bambini per famiglia, si ha un totale di 98,1 milioni di locazioni. Si può presumere che ci sia almeno un bambino buono per famiglia. Babbo Natale ha 31 ore lavorative, grazie ai fusi orari e alla rotazione della terra, assumendo che viaggi da Est verso Ovest. Questo porta ad un calcolo di 822,6 visite per secondo. Questo significa che, per ogni famiglia Cristiana con almeno un bambino buono, Babbo Natale ha circa un millesimo di secondo per :
– trovare parcheggio ( cosa questa semplice, dato che può parcheggiare sul tetto e non ha problemi di divieti di sosta );
– saltare giù dalla slitta;
– scendere dal camino;
– riempire le calze;
– distribuire il resto dei doni sotto l’albero di Natale;
– mangiare ciò che i bambini mettono a sua disposizione;
– risalire dal camino;
– saltare sulla slitta;
– decollare per la successiva destinazione.
Assumendo che le abitazioni siano distribuite uniformemente ( che sappiamo essere falso, ma accettiamo per semplicità di calcolo ), stiamo parlando di 1.248 Km per ogni fermata, per un viaggio totale di 120 milioni di Km. Questo implica che la slitta di Babbo Natale viaggia a circa 1040 Km/sec, a 3000 volte la velocità del suono. Per comparazione, la sonda spaziale Ulisse ( la cosa più veloce creata dall’uomo ) viaggia appena a 43,84 Km/sec, e una renna media a circa 30 Km/h.
Il carico della slitta aggiunge un altro interessante elemento : assumendo che ogni bambino riceva una scatola media di Lego ( del peso di circa 1 Kg ), la slitta porta circa 378.000 tonnellate, escludendo Babbo Natale ( notoriamente sovrappeso ). Sulla terra, una renna può esercitare una forza di trazione di circa 150 Kg. Anche assumendo che una “renna volante” possa trainare 10 volte tanto, non è possibile muovere quella slitta con 8 o 9 renne, ne serviranno circa 214.000. Questo porta il peso, senza contare la slitta, a 575.620 tonnellate. Per comparazione, questo è circa 4 volte il peso della nave Queen Elizabeth II ).
Sicuramente, 575.620 tonnellate che viaggiano alla velocità di 1040 Km/sec generano un’enorme resistenza. Questa resistenza riscalderà le renne allo stesso modo di una astronave che rientra nell’atmosfera. Il paio di renne di testa assorbirà 14,3 quintilioni di Joule per secondo. In breve si vaporizzerà quasi istantaneamente, esponendo il secondo paio di renne e creando assordanti onde d’urto ( bang ) soniche.
L’intero team verrà vaporizzato entro 4,26 millesimi di secondo.
CONCLUSIONE : Babbo Natale non esiste.

La tartaruga rossa

Saltuariamente su questo blog menziono film che mi hanno particolarmente colpito e oggi mi sento non solo di consigliarvi la visione di un film d’animazione a mio avviso molto bello, ma anche di rendere omaggio a una delle case produttrici che l’hanno ideato e realizzato. Sto parlando di quei geni dello “Studio Ghibli”. La famosa casa di produzione è nota soprattutto per aver prodotto i lavori di un maestro dell’animazione giapponese “Hayao Miyazaki”, ma devo dire che ogni volta che tirano fuori un prodotto fanno centro, che sia stato fatto dal maestro o no. Infatti il film di cui voglio parlarvi non è di Miyazaki ma è il frutto di una collaborazione tra diverse società tra cui lo Studio Ghibli. La pellicola in questione s’intitola “La tartaruga rossa”, ed è la storia di un naufrago che viene trasportato dai flutti in tempesta su un’isola deserta, nella quale farà un incontro con una tartaruga marina di colore rosso. Non dirò altro della trama per non spoilerare a chi non l’avesse visto, m’interessa però dire che la scelta dei colori pastello e il tratto del disegno così semplice ne fanno un piccolo capolavoro assolutamente originale rispetto a ciò che siamo abituati a vedere in quanto a animazione. coverlgAltro segno distintivo non di poco conto è che il film è muto. All’orecchio arrivano solo i suoni della natura, e le urla di dolore o le grida di gioia, non esiste il linguaggio parlato. Nonostante ciò lo spettatore riesce non solo a capire perfettamente cosa stia succedendo ma riesce a sentire anche nitidamente le sensazioni e le emozioni che i personaggi provano durante la loro esistenza sull’isola. La tartaruga rossa è un film che parla di vita, violenza, gioia, dolore, amore, abbandono e lo fa senza spiegarti niente e senza richiedere allo spettatore una particolare attenzione, basta guardare lo schermo e si entra in connessione con i personaggi senza neanche accorgersene. Avverto comunque che c’è anche del surreale, quindi per la visione bisogna essere aperti mentalmente a vicissitudini inspiegabili, senza voler per forza cercare una spiegazione a tutto ciò che accade. A mio avviso questa semplice e poetica pellicola dimostra che a volte basta poco per fare una vera e propria opera d’arte cinematografica.